Il Circolo Ippico Castellaro Ranch si trova nel Comune di Bedonia, a 2 minuti dal centro del paese.
Bedonia si trova in una delle zone più belle dell’appennino Tosco-Emiliano, la Valtaro, distante un’ora da Parma e dal mare della vicina Liguria, famosa per il fungo porcino I.G.P. e per l’ambiente suggestivo in cui riscoprire il piacere del contatto con la natura, lontano dallo stress della citta’.
L’obbiettivo del Circolo Ippico Castellaro Ranch è di promuovere e diffondere lo sport dell’equitazione, attraverso la scuola di monta western e le passeggiate a cavallo.
Il centro dispone di un maneggio coperto immerso nel verde.
Oltre alla scuola di equitazione, il centro si occupa anche di doma e addestramento cavalli.
Circolo ippico è associato a Sport Nazionale, iscritto al Coni, e dispone di istruttore abilitato.
Il nostro istruttore sarà lieto di accogliervi ed illustrarvi le particolarità della nostra struttura e di introdurvi al mondo dell’equitazione.
Fare equitazione significa sport, divertimento, sfida con sé stessi e con i propri limiti; significa vincere le proprie paure ed imparare a superare gli ostacoli.
I nostri servizi:
Passeggiate e Trekking a cavallo
Scuola equitazione per adulti e bambini
Doma e addestramento
Pensione cavalli
Rilascio patenti equestri
Ho molti ricordi legati al Monte Penna.
Ricordi d’infanzia e racconti di tempi che furono.
E da quando sono piccolo che, di tanto in tanto, andavo in un prato sopra la caserma vecchia per fare picnic e giocare liberamente nei boschi.
C’era una tranquillità incredibile, ricordo, e, con i miei amici, passavamo interi pomeriggi a rovinare quella quiete, con buona pace di chi campeggiava o per chi si stava godendo il pranzo.
Si era tutti come in una grande famiglia dove, chiunque passava, veniva accolto e invitato a fermarsi per la classica fetta di salame e bicchiere di vino.
La vista dalla cima del Monte Penna
Ricordo il calore del falò serale sul viso mentre si raccontavano le storie dei partigiani.
Il buio tutt’attorno con solo qualche lampo delle fiamme a scoprire, più in la nel bosco, tenebrose figure lignee.
Non si aveva paura del buio; troppo bello il cielo stellato per aver timore, su, tra le cime delle montagne, la prima nebbiolina.
Leggera, pulita, come un lenzuolo rimboccato, lentamente, prima di addormentarsi.
Il silenzio, i rumori lontani, i movimenti del bosco, dentro la tenda, fanno capire che di quel mondo tu non ne fai più parte e lo devi rispettare.
Esige rispetto.
Sei li, ospite di una meraviglia, godi di tutta questa bellezza e allo stesso tempo sei il primo potenziale assassino.
Il freddo pungente la prima mattina, al risveglio, quando ti sciacqui la faccia con l’acqua delle sorgenti e vedi il primo solo filtrare tra i rami.
L’impressione che li, tu, ci abbia già vissuto.
Quei gesti, quei panorami, sono parte di te e tu li riconosci come tuoi.
Partivamo sempre, almeno quando il tempo lo consentiva, per la cima.
Una volta che ti ci portano, la prima volta, lassù sul Pennino, ci vorresti ritornare.
Perché lassù sei sulla cima del mondo, lassù ti senti nel mondo.
Lassù il tuo sguardo copre distanze come mai prima.
Ti mostra cose, così lontane, che non ti sembra nemmeno possibile.
Lassù, il mio occhio si ferma sempre dove il cielo si fonde con il mare.
L’abbraccio di pace tra due tutto.
Li, io, mi sento in pace.
Fermatevi, se mai vi capiterà di salire fin lassù, a leggere il libro di firme che si trova nella cappelletta.
L’ascesa a quel meraviglioso posto, la quiete, il panorama, porta chi vi scrive a creare capolavori.
Brevi, concisi e tuttavia incisivi, pieni di significato.
Così si va dalle dediche d’amore ai ringraziamenti alla Madonna passando, dall’elenco degli amici che hanno compiuto l’impresa, ai gesti di affetto per questa meravigliosa terra.
Non senza commuovermi scrivo queste parole, ma sono ben poca cosa rispetto alle emozioni che mi ha fatto provare questo Eden.
Mi piace pensare che ognuno di noi possa trovare nella sua vita un posto dove si sente in pace, si sente a casa e dove, queste emozioni le possa provare con chi gli scalda il cuore.
Io, ancora una volta, ho potuto godermi tutto questo con mio padre che non potrò mai ringraziare abbastanza per tutto quello che è riuscito ad insegnarmi e per avermi fatto scoprire che al mondo esistono luoghi puri che ti elevano a ciò che non conosciamo più.
Il Field-Target è una disciplina sportiva che simula in modo non cruento la caccia a piccoli animali con armi ad aria compressa. Tale sport nasce nel Regno Unito nei primi anni ‘80, ed inizialmente veniva praticato da cacciatori su sagome cartacee (si ricorda che in Italia la caccia con armi ad aria compressa è vietata, qualsiasi sia il calibro e la potenza espressa dall’arma).
logo
In seguito si adottarono sagome metalliche rappresentanti piccoli animali (scoiattoli, corvi, piccioni, topi, ecc…) il cui ribaltamento avveniva esclusivamente colpendo una zona circolare in corrispondenza di un punto vitale dell’animale detta Kill Zone, che può variare da un diametro minimo di 15mm ad un massimo di 40mm, la sagoma viene poi riattivata semplicemente tirando una cordicella di collegamento. Tale disciplina si espanse anche negli USA ed in EU, in particolare Germania e Polonia, ovviamente la regolamentazione e la classificazione delle armi ad aria compressa di libera vendita è notevolmente più restrittiva in questi paesi, come d’altronde in Italia, avendo il limite di potenza fissato a 7.5J; infatti vengono adottate differenti categorie in funzione oltre che della tipologia di arma anche della potenza espressa, superiore o inferiore a 7.5J.
Le manifestazioni o incontri si svolgono lungo un percorso all’aperto a contatto con la natura, solitamente in un contesto campestre/boschivo, lungo il quale vengono disposte le piazzole di tiro in numero variabile dalle 6/8 della gara informale alle 25 di una valevole per il campionato italiano. Una volta giunto in piazzola il concorrente deve assumere la posizione di tiro indicata da un’ apposito segnale (libera, in piedi o in ginocchio), ingaggiare i bersagli posizionati a distanze non note, che variano dai 7m ai 30m per la categoria fino a 7.5Joule e dai 7m ai 50m per la categoria 16.3J, quindi stimare la distanza del bersaglio, apportare le dovute correzioni in alzo e compensare l’eventuale vento ed infine eseguire il tiro; si ha a disposizione soltanto un colpo per ogni bersaglio … “una sagoma un punto”. I partecipanti alle gare sono suddivisi in quattro categorie sia in base alla potenza che per il principio di funzionamento della propria arma: Springer 7,5J: Carabine con funzionamento a molla di libera vendita a maggiorenni. Springer Fullpower: Carabine con funzionamento a molla a piena potenza che necessitano per il loro utilizzo di apposito titolo. PCP 7,5J: Carabine con funzionamento a gas precompresso di libera vendita a maggiorenni. PCP Fulpower: Carabine con funzionamento a gas precompresso a piena potenza che necessitano per il loro utilizzo di apposito titolo. Possono essere utilizzati organi di mira di ogni genere, ad esclusione dei dispositivi laser e di qualsiasi dispositivo telemetrico.
Premiazione sul Monte Molinatico
E’ opportuno specificare che l’unico dispositivo ammesso per la stima delle distanze è il correttore di parallasse. Pur essendo consentite dal regolamento italiano mire metalliche e diottre, non sono adatte per praticare al meglio questa disciplina sportiva, in quanto non consentono una stima della distanza arma/bersaglio sufficientemente precisa; il sistema di mira più idoneo è il cannocchiale di puntamento, più comunemente chiamato ottica, con correttore del parallasse, meglio se su terza torretta e con alti ingrandimenti in modo tale che la stima della distanza sia quanto più precisa possibile. Le ottiche più utilizzate nel field-target hanno ingrandimenti variabili: 6-24, 8-32, ma sempre più spesso si vedono in gara anche dei 10-50. Il Field-Target pur essendo uno sport poco più che emergente nel nostro Paese sta sviluppandosi piuttosto rapidamente sotto l’egida della F.F.T.I. (FEDERAZIONE FIELD-TARGET ITALIA), che riunisce e coordina le singole A.S.D. (associazioni sportive dilettantistiche) facentene parte. Il nostro consiglio per chi desidera conoscere di più su questo sport, e magari provare sul campo, è quello di mettersi in contatto con la A.S.D. più vicina geograficamente dove troverà persone competenti ed esperte che lo aiuteranno ad avvicinarsi a questa divertente “avventura”. Il 2009 è stato un anno molto importante per questa disciplina, a livello nazionale ha visto l’organizzazione di numerose manifestazioni ludico/divulgative, lo svolgersi dei singoli campionati di A.S.D. e le ben 6 prove del campionato nazionale conclusosi in Toscana con la proclamazione dei Campioni Italiani 2009 di categoria.
Anche a livello internazionale la Federazione è stata piuttosto attiva nell’ultimo anno, patrocinando la partecipazione di una delegazione di atleti italiani agli europei che si sono svolti a Weston Park nel Staffordshire (Inghilterra), patria del Field-Target, dal 19 al 20 settembre 2009,da segnalare la buona prestazione del campione italiano nella categoria Pcp 16,3J (categoria considerata internazionale) che con la sua steyr LG 100 si è aggiudicato la 15° posizione assoluta, mentre gli altri partecipanti all’avventura europea erano: Dario Gusmeroli (Air Arms evo 2 mk 2), Achille Matrone (Air Arms Pro-Sport), Aldo Boncompagni (walther LG 300 Alluminium). A coronamento del lavoro svolto dal 2006 ad oggi, sia in ambito nazionale che internazionale, la Federazione Field-Target Italia ha ottenuto ad ottobre 2009 l’ingresso nel W.F.T.F (World Field Target Federation ), ovvero la Federazione Field-Target Mondiale, divenendo così la referente per l’Italia.
Il Monte Bue è una vetta del gruppo del Monte Maggiorasca, situata tra la Val d’Aveto (comune di Santo Stefano d’Aveto, Genova), la val Nure (comune di Ferriere, Piacenza) e la valle del Ceno (Comune di Bedonia, Parma), costituisce l’estremo limite meridionale della Provincia di Piacenza ed anche il secondo punto altimetricamente più elevato (1775 m s.l.m.) dell’intero territorio piacentino, dopo il Maggiorasca (1804 m.s.l.m.)
È una delle mete preferite dagli escursionisti, essendo collocato in una zona di piacevoli attrazioni naturalistiche come il Lago Nero, il Monte Nero e il Monte Maggiorasca. Sulle sue pendici si trovano un bivacco (Bivacco Sacchi), un rifugio (Prato Cipolla) e la breve Ferrata Mazzocchi.
Monte Bue
Sulla vetta sono situati i ruderi (stazione di arrivo, con annesso albergo-rifugio e altre strutture di servizio) di un impianto di risalita (ovovia) che collegava direttamente la cima del Monte Bue con Rocca d’Aveto (frazione di Santo Stefano d’Aveto), dismessa dopo il 1991; recentemente (dicembre 2008) è stato inaugurato un nuovo impianto di risalita (seggiovia) che collega Rocca d’Aveto con il rifugio del Prato della Cipolla (1578 m), al fine di tentare il rilancio turistico dello sci alpino in alta Val d’Aveto. Con lo sviluppo del versante avetano anche sul lato ferrierese si sta progettando la possibilità di costruire i tanto agognati impianti di risalita. Tale progetto, visibile su [1] riprende quello presentato e finanziato nel 1976. Vista la posizione a cavallo fra tre province, la zona del Monte Bue è frequentata da piacentini, parmigiani e genovesi.
Oltre all’escursionismo, la zona offre interessanti possibilità per l’arrampicata sportiva, con le falesie della Rocca del Prete, del Monte Maggiorasca, di Waiting for Fred e del Dente delle Ali, senza dimenticare le tante possibilità di salite invernali. In queste falesie troviamo ofiolite spesso piuttosto friabile.
Il monte Maggiorasca 1810 m s.l.m. è la vetta più alta dell’Appennino Ligure, situata tra le province di Genova, e di Parma, a poche centinaia di metri, in direzione nord, presso la sommità del monte Bue, decorre il confine con la provincia di Piacenza. Il Maggiorasca domina la val d’Aveto con il comune di Santo Stefano d’Aveto (GE) e la valle del Ceno col comune di Bedonia (PR); il gruppo montuoso del Maggiorasca, posto a nord del passo del Tomarlo, comprende anche le vette del monte Nero, del Groppo delle Ali e del monte Roncalla oltre a quella, già citata, del monte Bue, costituendo un importante nodo orografico tra le vallate del Nure (Piacenza), del Ceno (Parma) e dell’Aveto (Genova).
La sommità del Maggiorasca, ampia e a forma di sella, è costituita da basalti non calcarei e da arenarie conglomeratiche, al suo bordo meridionale, su un ripiano posto a un’altitudine di 1.799 m s.l.m., sorge la statua di Nostra Signora di Guadalupe, eretta nel 1947, mentre sulla vetta vera e propria (1810 m s.l.m.) è stato collocato un impianto per la ripetizione di segnali televisivi.
Meta molto frequentata in ogni stagione dagli appassionati di escursionismo provenienti sia dai versanti emiliani, sia dal versante ligure.
Nei pressi sono presenti alcune brevi vie di arrampicata invernale e più numerose vie estive, recentemente attrezzate da un gruppo di arrampicatori piacentini.
Monte Maggiorasca
La flora del massiccio montuoso del Monte Maggiorasca è particolarmente interessante, per via della coesistenza di alcune specie botaniche di provenienza alpina e di endemismi tipici dell’Appennino settentrionale e della catena appenninica in generale.
Il gruppo montuoso del Maggiorasca è infatti l’unica area montuosa dell’Appennino Ligure in cui sia possibile rinvenire il Chrysosplenium alternifolium (una rara sassifragacea a distribuzione euro-siberiana), l’Aquilegia alpina (specie subendemica delle Alpi occidentali, che irradia nell’Appennino Settentrionale con poche ed esigue popolazioni) e la Primula marginata, una vistosa specie subendemica delle Alpi sud-occidentali e dell’Appennino Ligure orientale, la cui presenza è limitata ad alcuni affioramenti di rocce basaltiche, ubicati nel settore settentrionale del massiccio al confine tra le province di Genova e Piacenza.
Sempre sui pendii delle aree più elevate del gruppo del Maggiorasca vegetano la Soldanella alpina, la Pulsatilla alpina e la Draba aizoides, tre piante piuttosto comuni sulle Alpi ma assai sporadiche nell’Appennino, infine tra gli endemismi appenninici, che nel gruppo montuoso del Maggiorasca raggiungono il limite nord-occidentale della loro distribuzione, vanno citati almeno l’Armeria marginata e l’Arenaria bertolonii.
Tra le specie a portamento fruticoso e arboreo va citato il cosiddetto “pino mugo appenninico” (Pinus mugo ssp. rostrata), entità un tempo certo più diffusa nelle aree culminali dei massicci montuosi della val d’Aveto e oggi rinvenibile in due popolamenti isolati presso il Passo del Tomarlo e tra il Lago Nero e la vetta del monte omonimo e in sporadici individui che crescono oltre il limite superiore della faggeta; sempre nella zona settentrionale del massiccio del Maggiorasca si possono osservare alcuni nuclei naturali (e quindi non di origine silvicolturale) di abete bianco (Abies alba).
fonte Wikipedia
Val Taro: liberi di scoprirla!
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